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È strage: la tragica verità del femminicidio in Italia

“È strage perché si è sempre detto che viene uccisa una donna ogni 3 giorni e invece ne stanno ammazzando una ogni 2 giorni”. - Casa internazionale delle donne di Ravenna



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Il 2024 ha aperto i suoi giorni con una statistica agghiacciante: sei donne uccise da uomini cresciuti nella cultura sessista e patriarcale italiana, in soli 12 giorni. 

Questo dato non rappresenta solo una serie di crimini, ma è il sintomo di una problematica profondamente radicata nella società italiana. Dietro ogni nome c'è una storia personale, un insieme di sogni infranti, una promessa sociale distrutta. Dietro ognuna di queste donne, c’è un crimine di potere che raccontano della cultura patriarcale, discriminatoria e prevaricatrice, possessiva e oppressiva, in cui tutte e tutti nasciamo, cresciamo e in cui noi donne moriamo.


Rosa D’Ascenzo, Maria Russ, Delia Zarniscu, Teresa Sartori, Elisa Scavone, Ester Palmieri - queste donne non possono essere definite vittime di un "tragico” destino, perchè in Italia, quando si parla di femminicidi, non si può parlare di tragedia, di emergenza. Nel nostro Bel Paese i femminicidi sono la conseguenza di una crisi sociale alimentata in modo sistemico, cadenzale, perenne, che necessita di un'attenzione immediata e di azioni concrete. Le morti di queste donne, come di tutte le altre uccise in nome di un sistema patriarcale, sottolineano un fallimento collettivo: la nostra incapacità di comprendere, di agire e, prima ancora che di proteggere, di ascoltare e dare peso a chi denuncia. Queste tragedie non sono avvenimenti isolati, ma il culmine di un lungo percorso di violenza di genere, che ha basi piramidali ampie e radici profonde.


La violenza di genere si manifesta nel quotidiano di ogni donna in mille forme, ma ha sempre lo stesso denominatore comune: la volontà dell’uomo di esercitare un potere autoconferitosi sulla donna. Ci tengo a ripeterlo: quando un problema è strutturale, cadenzale, perenne, non possiamo più parlare di “emergenza”. Un’emergenza è, per definizione, una circostanza inaspettata ed imprevista. Noi invece lo sapevamo. Lo sapevamo quando era toccato a Giulia Cecchettin, lo sapevamo quando era successo alle altre 102 vittime (solo nel 2023) di un sistema patriarcale che è intriso nel nostro tessuto sociale.




Cultura del possesso e ciclo della violenza


La percezione della donna come proprietà è una delle radici più profonde e tossiche della violenza di genere. Questa visione perversa si manifesta in un ciclo di violenza che troppo spesso vede le vittime intrappolate in un circolo vizioso di abusi attentamente costruito in maniera metodica. Tale mentalità è più letale di un virus: soffoca l'autonomia e la libertà femminile, imprigiona, strega, ammalia, obbliga, violenta, è giustificata, uccide, è perdonata. Questa cultura del possesso è potuta nascere, crescere e diffondersi, grazie ad un sistema culturale e valoriale che ha radici profonde. Michela Murgia trova quelle che sono forse le prime radici già nella nascita dei monoteismi, in cui il silenzio è una virtù, ma solo se ad esercitarlo sono le donne. Oggi il concetto si è diffuso, è divenuto parte del nostro lessico, di ciò che leggiamo, di ciò che siamo abituate a considerare normale, perchè ci viene raccontato così.




Il ruolo dei media e la nostra responsabilità sociale nei femminicidi


I media hanno un ruolo fondamentale nella lotta al femminicidio. La rappresentazione di questi crimini influisce notevolmente sulla percezione pubblica del fenomeno. È imperativo che i media evitino di descrivere il femminicidio come un atto di "amore folle" o "raptus" di gelosia, narrazioni che non solo banalizzano la gravità del problema, ma alimentano anche la cultura della violenza e del possesso. Queste parole, questi concetti, imprimono nelle menti delle persone il concetto che il femminicidio sia giustificabile, che sia un atto di “troppo amore”, che la donna sia colpevole di non aver amato (aggiungi qui frasi e concetti come “Si vestiva così”, “Frequentava quell’ambiente li”), di aver ferito lei per prima l’uomo, quando invece, quella morta, è lei. 

Invece, è necessario porre l'accento sulla realtà dei fatti: stiamo parlando di atti di violenza premeditata, spesso il culmine di un lungo periodo di abusi. Parallelamente, la società civile deve essere più consapevole e attiva nel sostenere le vittime e promuovere un dialogo aperto su questi temi. Ogni individuo ha il potere di influenzare il cambiamento: dalla responsabilità civile, sociale e UMANA di smettere di dire “Not all men” (perchè si, all men, in mille modi diversi, ma all men), dall'intervento in situazioni di violenza alla partecipazione attiva a iniziative che promuovono l'uguaglianza di genere e la lotta contro la violenza domestica (no, postare la tua foto mentre regali mimose puzzolenti alla “tua” donna non vale).

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Chi può ancora negare che il patriarcato non esista? Chi può negare la sua struttura tenace e radicata nel tessuto sociale? A quale statistica dobbiamo arrivare perché questa piaga diventi preoccupante e intollerabile agli occhi della società e delle istituzioni? Chiedo per un’amica. Una qualsiasi. Tanto la violenza di genere non fa distinzioni. Il patriarcato è un pericolo che non si può annientare in un giorno, e questo lo sappiamo bene. Il problema principale, soprattutto quando si è davanti a numeri reali e sconcertanti come quelli dei femminicidi, è la negazione della sua esistenza.

Si dice che il primo passo per risolvere un problema sia accettarlo e riconoscerlo. E al momento sembra ben chiaro che siamo piuttosto lontane (si, anche le donne) e lontani da qualsiasi accettazione di consapevolezza e da qualsiasi atto di riconoscimento.

Dovremmo provare a gridarlo tutti insieme a gran voce: il patriarcato esiste. Affacciandoci alle finestre, proprio come durante il lockdown, quando tutta Italia applaudiva dal balcone. Quell’Italia orgogliosa di non arrendersi, piena di persone che ci tenevano a mostrare la propria solidarietà con un’applauso che risuonava all’unisono, per ricordare al prossimo e a sè stessi che non si era soli, che eravamo uniti e che ne saremmo usciti migliori.

Dove sei Italia, ora che le donne sono più sole che mai? So che lo sai, ma ora lasci gli scuri delle finestre socchiusi. E non ti affacci più.

Abbiamo bisogno di un nuovo coro. Ma non di applausi stavolta, prendiamo la nostra “arma di fortuna” preferita, quel mazzo di chiavi nella tasca del cappotto che noi stringiamo ogni pomeriggio e ogni sera mentre rientriamo a casa dal lavoro. Facciamo rumore. Tutti e tutte insieme. E urliamo, urliamo a gran voce: il patriarcato esiste. Vedremmo qualcuno chiudere le finestre e qualcun altro filmarci per farne magari un video di scherno con la speranza diventi virale sui social.

Ma magari, magari dico, alla fine qualcuno si convincerà.




Chi erano le donne vittime di femminicidio


Diciamoli, urliamoli forte questi nomi: Rosa D’Ascenzo, Maria Russ, Delia Zarniscu, Teresa Sartori, Elisa Scavone, Ester Palmieri.


Scava dentro le tue giornate quotidiane, pensa a quando sparecchi la tavola per la tua famiglia, come nel film “C’è ancora domani”, pensa a come ti vesti al mattino per sentirti al sicuro al rientro a casa, o per essere presa sul serio al lavoro, pensa alle frasi sceme (che sceme non sono) dei colleghi, ai fischi dei passanti, alle pretese delle maestre in quanto sei madre, ai gruppi whatsapp pieni di giudizi delle altre madri, pensa a quando arrivi a casa la sera stringendo forte quel mazzo di chiavi tra le mani, pensa a quando, solo dopo aver preparato la cena, fatto la lavatrice, messo a letto i bambini, riordinato la cucina, aiutato tuo marito a trovare i calzini, e forse gli avrai concesso una seratina hot perchè “Lui se la merita, altrimenti la cerca fuori”, finalmente andrai a letto, e tutto questo ricomincerà da capo. Perchè ogni giornata, se sei donna, è a rischio di patriarcato. Se sei tra le donne fortunate. Se invece vivi in una situazione di violenza, la tua giornata sarà decisamente diversa da questa. Ma non abbastanza per far si che i media Italiani riescano a parlare in maniera decorosa del tuo femminicidio.


Ecco come sono raccontati, quelli di Diciamoli, urliamoli forte questi nomi: Rosa D’Ascenzo, Maria Russ, Delia Zarniscu, Teresa Sartori, Elisa Scavone, Ester Palmieri.

 

FEMMINICIDIO 2 GENNAIO, SANT'ORESTE (ROMA)

Il primo (perchè già sappiamo che non sarà l’ultimo) caso di femminicidio del 2024 è quello della 71enne Rosa D'Ascenzo, uccisa dal marito 73enne il quale ha simulato una caduta dalle scale dopo un malore. In realtà l'aveva colpita a morte utilizzando un utensile preso dalla cucina, forse una padella.

 

FEMMINICIDIO 5 GENNAIO, NARO (AGRIGENTO)

Il 5 gennaio due donne romene (nei casi di femminicidi la prima cosa che viene detta è se la donna era straniera, mamma, o se praticava una professione “poco consona” ad una donna, come a dire che esistono vittime di serie A e di serie B), la 56enne Maria Russ e la 58enne Delia Zarniscu, sono state trovate morte in due case poco distanti tra loro. Per il delitto è stato arrestato un 24enne loro connazionale (conta solo la razza), Omar Edgar Nedelcov. Una delle due è stata trovata carbonizzata. La 58enne è stata seviziata con una lametta e ferita alle gambe "al solo scopo di provocarne sofferenza" (questi dettagli cruenti non vengono raccontati nel caso degli altri femminicidi, ma solo in quello avvenuto per mano di uno straniero, I mariti italiani, invece, soffrivano “per colpa” della donna che li aveva lasciati, perchè erano “troppo innamorati”.


FEMMINICIDIO 8 GENNAIO 2024, VARESE

Un uomo di 54 anni, Stefano Rotondi è stato trovato senza vita (così si apre l’articolo relativo ad un femminicidio) in casa, un appartamento al quarto piano di un condominio in via Fratelli Cervi a Saronno. In casa è stato trovato anche il corpo senza vita della madre, Teresa Sartori (un effetto quasi collaterale insomma) di 81 anni. Il dramma familiare (il femminicidio compiuto dal figlio che ha scelto di uccidere la madre) ha tutti i contorni di un omicidio-suicidio. Un’altra testata riporta “Una tragedia (atto sistemico e patriarcale) che ha lasciato senza parole i vicini di casa che prima di questo fine settimana non avevano avevano mai sentito urlare o litigare (giustificazione del femminicidio come raptus, continuano, anche qui, anche loro, a chiamarlo omicidio-suicidio, ma la parola giusta sarebbe femminicidio) madre e figlio”.

 

FEMMINICIDIO 11 GENNAIO, VALFLORIANA (TRENTO)

Una donna (a caso, vedi la pagina Instagram @ladonnaacaso) di 38 anni, Ester Palmieri, è stata uccisa dal marito 46enne, Igor Moser, che poi si è tolto la vita (inizia a sentirti in pena per lui), impiccandosi. Alla base della tragedia (dell’atto sistemico, cadenzale e perenne) problemi coniugali (la cultura patriarcale che ha spinto l’uomo a voler esercitare un potere autoconferitosi e uccidere la moglie): l'uomo, che non accettava la separazione (qui puoi iniziare ad accusare la donna di aver lasciato un marito violento, è colpa sua che lo ha ferito povero cucciolo inerme), e al culmine dell'ennesimo litigio (più probabilmente dell’ennesima violenza) avrebbe deciso (dall’alto del suo ruolo patriarcale che ha il potere di decidere sulla vita della donna) di mettere fine alla sua famiglia (alla vita della donna che era riuscita ad uscire dalla situazione di violenza coniugale).

 

FEMMINICIDIO 12 GENNAIO, TORINO 

E' morta dopo due giorni di agonia la 65enne Elisa Scavone, accoltellata dal marito, Lorenzo Sofia, ex gommista (i mariti con un lavoro per bene non uccidono le proprie mogli) di 70 anni, a Torino, nel quartiere Borgo Filadelfia. La donna è deceduta all'ospedale Molinette, dove era stata operata d'urgenza e le era stata asportata la milza. All'apice di una lite (di una violenza domestica), il marito l’aveva colpita con un coltello più volte all'addome e alla schiena. Una profonda ferita aveva raggiunto il diaframma e lo stomaco (atto accidentale, lui l’ha solo pugnalata più volte con un coltello, mica voleva ucciderla. É la ferita che ha raggiunto imprevedibilmente diaframma e stomaco).




Oltre l’indignazione momentanea


In conclusione, questo articolo non mira a stilare un'ennesima lista di atrocità, né a soffermarsi sulla crudezza dei numeri che, pur essendo drammaticamente eloquenti, non possono catturare l'essenza del problema. Lo scopo è piuttosto quello di scuotere le coscienze, di sollecitare una presa di coscienza collettiva che vada oltre l'indignazione momentanea e si traduca in azioni concrete. Ogni nome citato, ogni storia narrata, è un monito che ci ricorda l'urgenza di un cambiamento radicale nella nostra società, nelle nostre leggi, nella nostra cultura. Non possiamo più permetterci di essere spettatori passivi di questa tragedia che si consuma ogni giorno. È tempo di agire, di educare, di proteggere e di sostenere, con ogni mezzo possibile, la lotta contro il femminicidio. Questo articolo è un grido che si leva in difesa di tutte le donne, un appello a non rimanere indifferenti, a non voltare lo sguardo altrove. È una chiamata all'azione, affinché il dolore e la perdita di queste donne non siano stati vani, ma siano il catalizzatore per un cambiamento reale e duraturo.


*Il pezzo delimitato da due linee è stato preso e parzialmente elaborato sulla base del testo tratto da www.gaiaitalia.com


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