La politica subdola che mina i diritti delle donne: l'emendamento al decreto sui fondi del PNRR svela le intenzioni del governo Meloni contro l'aborto

Nel panorama politico italiano, Giorgia Meloni ha sempre avuto un approccio all'aborto molto mal celato (almeno per le persone dotate di un minimo di intelletto). Non dichiara apertamente di essere contraria all'interruzione di gravidanza, ma con le sue politiche sembra seguire la stessa traiettoria del movimento antiabortista americano. Con l'ultimo emendamento al decreto sui fondi del PNRR, il governo Meloni ha mosso un passo subdolo per minare i diritti delle donne. Questo emendamento stabilisce che nei consultori devono essere presenti associazioni con "qualificata esperienza nel sostegno alla maternità", un gergo che spesso indica organizzazioni antiabortiste.
Sembra una piccola mossa, ma il suo impatto potrebbe essere devastante. Il governo Meloni è abile nell'utilizzare un linguaggio che maschera le vere intenzioni. Durante la campagna elettorale, Meloni parlava di "piena applicazione della legge 194", ma senza spiegare che ciò significava rendere difficile o addirittura impossibile accedere all'aborto, o addirittura infliggere danni psicologici permanenti alle donne che cercano di esercitare un proprio diritto legale di autodeterminazione sui propri corpi.
Vedi il modello ungherese tanto caro alla Presidentessa, e introdotto in Italia, di far ascoltare gli impulsi elettrici del feto e convincere le donne che sia un reale cuore pulsante, o la legittimazione di iniziative antiabortiste americane come la 40 Days for Life fuori da strutture sanitarie pubbliche e laiche.
In questo modo, con uno studiatissimo linguaggio fittizio e con l’aiuto di bonus casuali e inutili alla maternità, il governo Meloni riesce a mantenere un'immagine moderata mentre agisce in modo subdolo contro i diritti riproduttivi.
La storia si ripete: l'esempio americano e le somiglianze con l'Italia
Negli Stati Uniti, il percorso che ha portato all'annullamento della sentenza Roe v. Wade non è stato improvviso. È stato un processo lungo e sistematico, iniziato subito dopo la legalizzazione dell'aborto nel 1973. Lavorando nell'ombra (proprio come l’attuale governo), il movimento antiabortista ha normalizzato il discorso contro l'interruzione di gravidanza, legittimato gruppi che si opponevano all'aborto, ottenuto l'endorsement di presidenti e figure politiche influenti, e ha fatto lobbying nelle corti. Tutto questo ha portato alla storica decisione della Corte Suprema nel 2022, che ha eliminato cinquant'anni di tutela del diritto all'aborto.
In Italia, c'è una falsa sensazione di sicurezza. La legge 194 del 1978 permette l'aborto, ma non lo protegge attivamente. Spesso ci si culla nell'idea che un ribaltamento radicale come quello avvenuto negli Stati Uniti non possa accadere qui. Tuttavia, la realtà è che questa legge è stata smentita, aggirata e strumentalizzata per decenni. Il governo Meloni sfrutta questo contesto fragile per portare avanti politiche antiabortiste senza dichiararlo apertamente.
L'ultimo attacco: il decreto sui fondi del PNRR
L'emendamento al decreto sui fondi del PNRR che richiede la presenza di associazioni pro-vita nei consultori è l'ultimo di una serie di attacchi subdoli al diritto all'aborto. Dietro un linguaggio apparentemente innocuo si cela una strategia precisa: infiltrare le istituzioni con organizzazioni antiabortiste che scoraggiano le donne dall'interrompere la gravidanza.
Si tratta di un modo astuto per minare la legge 194 senza doverla affrontare direttamente. L’inno della nostra cara Presidentessa, infatti, è sempre stato: “Non toccheremo la 194”. Semplicemente perchè questa legge è talmente antica e facilmente aggirabile, che permetta a governi di estrema destra di minare i diritti umani senza sporcarsi le mani.
Questa strategia della Meloni si riflette anche nelle sue dichiarazioni.
Parla di "diritto a non abortire" e di "superamento delle cause dell'aborto", ma non affronta mai il problema delle donne che vogliono esercitare il loro diritto a scegliere. Così facendo, evita di apparire esplicitamente antiabortista agli occhi del pubblico internazionale, mantenendo una facciata di moderazione. Tuttavia, le sue azioni raccontano una storia diversa.
Dove sono i sostegni reali per quelle donne la cui decisione è davvero presa per mancanza di possibilità economiche? Dove sono gli asili nido, la tutela del lavoro femminile, l’abbattimento del tasso di gender pay gap? La tattica di zittire tutti con bonus casuali di nessuna efficacia purtroppo regge molto bene in un Paese abituato, come diceva il mio prof di diritto, a fare politica da bar davanti a un bianchino.
Meloni e aborto: l'impatto delle politiche del governo sui diritti riproduttivi
La sfida per il futuro è chiara: dobbiamo difendere i diritti delle donne da questi attacchi subdoli. Mentre il governo Meloni continua a mascherare (malamente) le sue vere intenzioni, è fondamentale che la società civile e le organizzazioni femministe restino vigili e attive. Questo significa non solo opporsi a leggi e decreti che minano l'accesso all'aborto, ma anche educare e sensibilizzare l'opinione pubblica sui rischi reali di queste politiche.
È tempo di smettere di dare per scontato che la legge 194 ci protegga.
Come dimostra l'esperienza americana, una sentenza può essere ribaltata dopo decenni di lavoro sotterraneo. Il diritto all'aborto è fragile e deve essere difeso con determinazione. Solo attraverso un impegno costante possiamo assicurarci che le donne abbiano il controllo sul proprio corpo e sulla propria salute riproduttiva. E questa è una battaglia che riguarda tutte e tutti, perché quando i diritti delle donne sono in pericolo, lo è anche la democrazia.
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