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L'autonomia differenziata, bocciata dall’UE, è una minaccia per il diritto all'aborto in Italia

La nuova legge metterà (quasi sicuramente) ulteriormente a rischio i servizi di interruzione volontaria di gravidanza in Italia


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Un Paese, più realtà


L’approvazione della legge sull’autonomia differenziata, promossa dal ministro degli affari regionali Roberto Calderoli, ha acceso un vivace dibattito sulle possibili conseguenze di una maggiore decentralizzazione. In particolare, una delle aree più critiche in discussione riguarda l'accesso all'aborto sicuro, un diritto sancito dalla legge 194 del 1978 ma attualmente soggetta a notevoli disparità regionali. Le persone italiane uteromunite si troveranno di fronte ad un'Italia divisa, dove il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza potrebbe non essere garantito uniformemente.



La legge 194 e l'obiezione di coscienza: un diritto a metà


La legge 194 del 1978 regola l'aborto in Italia, permettendo l'obiezione di coscienza ai medici, ma obbligando le strutture sanitarie a garantire comunque il servizio. Tuttavia, l’interpretazione della legge varia significativamente da regione a regione. Le linee guida aggiornate nel 2021 hanno introdotto la possibilità di somministrare la RU486 nei consultori, riducendo la necessità di ospedalizzazione. Nonostante ciò, poche regioni hanno adottato queste indicazioni, lasciando scoperto il monitoraggio dell’accessibilità a questa procedura. Questo scenario, a livello previsionistico, peggiorerà con l'autonomia differenziata, aumentando ulteriormente il divario tra nord e sud.



Nord vs Sud: un divario inaccettabile


L'autonomia differenziata si basa sull'individuazione dei Livelli Essenziali di Prestazione (LEP), analoghi ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) nel sistema sanitario. I LEA, introdotti nel 2001, monitorano gli standard sanitari regionali. Sebbene l'aborto chirurgico sia stato inserito nei LEA nel 2017, le disuguaglianze tra nord e sud persistono ancora oggi.


Nel sud Italia, molte donne devono spostarsi fuori regione per accedere ai servizi di interruzione di gravidanza. Nel 2021, il 21,7% delle donne del sud e il 17,2% delle isole hanno dovuto recarsi fuori dalla loro provincia di residenza per ottenere un aborto, contro il 9,7% nel nord. va ricordato, in tutti questi casi, che stiamo parlando di persone che hanno il privilegio di potersi spostare per esercitare un proprio diritto in sicurezza, senza dover ricorrere a pericolosi metodi che conosciamo fin troppo bene. Questo divario è aggravato dall'alto tasso di obiezione di coscienza tra i ginecologi, che ostacola ulteriormente l'accesso all'aborto nelle regioni meridionali, tanto da renderlo di fatto impraticabile in alcune regioni.



Obiezione di coscienza: un ostacolo profondo


Le ragioni del tasso di obiezione di coscienza non sono solo morali, ma anche professionali. I giovani ginecologi, nelle strutture con molti obiettori, spesso evitano di dichiararsi non obiettori per non ritrovarsi a svolgere esclusivamente aborti senza un'adeguata retribuzione. Inoltre, i direttori sanitari e i primari di ginecologia obiettori possono applicare l'obiezione di struttura, che impedisce qualsiasi aborto in ospedale.


L'autonomia differenziata rischia di peggiorare questa situazione, in quanto la mobilità del personale, prevista dall’articolo 9 della legge 194, dipende dalle condizioni offerte dalle aziende ospedaliere. E se le regioni del nord, potendo offrire stipendi più alti e condizioni migliori (seppur inadeguate alla professione), hanno la possibilità di attrarre più personale, il sud rimarrà molto probabilmente ancora di più allo scoperto.



L’UE boccia l'autonomia differenziata: il no di Bruxelles alle misure del governo Meloni


La questione dell'autonomia differenziata non è passata inosservata nemmeno in Europa. La Commissione Europea ha espresso un giudizio critico sulla nuova legge nel Rapporto Paese pubblicato il 19 giugno 2024. La Commissione sottolinea che "l’attribuzione di competenze aggiuntive alle regioni italiane comporta rischi per la coesione e per le finanze pubbliche". Questa bocciatura, arrivata proprio nel giorno in cui il provvedimento è diventato legge, evidenzia preoccupazioni sia per l'aumento delle disuguaglianze regionali sia per la complessità istituzionale che potrebbe derivarne.


Secondo il rapporto, "mentre il disegno di legge attribuisce specifiche prerogative al governo nei negoziati con le regioni, esso non fornisce alcun quadro comune di riferimento per valutare le richieste di competenze aggiuntive da parte delle regioni". Inoltre, i LEP garantiscono solo livelli minimi di servizi e non riguardano tutti i settori, rischiando così di aumentare ulteriormente le disuguaglianze regionali. La Commissione avverte anche che l'attribuzione di poteri aggiuntivi alle regioni in modo differenziato aumenterebbe la complessità istituzionale, con il rischio di maggiori costi sia per le finanze pubbliche che per il settore privato.


Non possiamo sperare che ci sia sempre mamma Europa a bocciare queste proposte di legge assurde e ridicole per il nostro Paese (cosa che ad oggi non è comunque servita a bloccare l’entrata in vigore della legge sull’autonomia differenziata in Italia), soprattutto considerando che, ad ogni modo, le critiche di Bruxelles sono motivate più da preoccupazioni economiche che da quelle legate ai diritti delle donne e delle persone uteromunite di cui, evidentemente, nessuno si preoccupa abbastanza. 

Dobbiamo essere noi, cittadini e cittadine italiane, a sollevarci e far sentire la nostra voce contro un provvedimento che rischia di acuire le disuguaglianze e minare diritti fondamentali come quello ad un aborto libero e sicuro.



Il futuro del diritto all'aborto: una lotta per l'uguaglianza


L’autonomia differenziata potrebbe esacerbare le disuguaglianze già presenti, rendendo l'accesso all'aborto ancora più difficile per le donne del sud Italia. Per evitare questo scenario, è essenziale che il governo centrale stabilisca delle linee guida chiare e vincolanti che garantiscano un accesso uniforme ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza su tutto il territorio nazionale. È fondamentale che le donne italiane, indipendentemente dalla regione in cui vivono, possano esercitare il loro diritto all'aborto in sicurezza e senza ostacoli. Solo così si potrà garantire una vera giustizia sociale.



L'autonomia differenziata minaccia il diritto all'aborto in Italia


Inutile continuare a nascondercelo: non siamo riusciti fino ad ora a colmare il divario Nord e Sud dell'Italia. Se la storia ci insegna qualcosa, molto, molto probabilmente, l'autonomia differenziata aumenterà questo divario, minacciando così il diritto all'aborto sicuro in Italia.


Il futuro del diritto all'aborto in Italia dipende dalla capacità del nostro sistema politico di riconoscere e correggere le disuguaglianze regionali. Le donne e le persone uteromunite, in particolare, devono essere consapevoli delle sfide che questo momento storico presenta. L'autonomia differenziata non deve diventare una scusa per perpetuare una disparità di genere già fin troppo acuita nel nostro “Bel Paese”


Se anche tu vuoi fare qualcosa, puoi agire ORA, firmando questo documento della rete My voice, my Choice.


“In tutta Europa, più di 20 milioni di donne non hanno accesso all'aborto.È inaccettabile che ancora oggi in Polonia le donne muoiano per questo motivo. Che le donne soffrano finanziariamente perché l'aborto non è gratuito. Che le donne in Italia e altri paesi siano costrette a percorrere lunghe distanze o a cercare alternative non sicure a causa della mancanza di fornitori di servizi. Insieme possiamo cambiare questa situazione”.




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